Fausto roma - at first sign 2

Segnalato da Satura Art Gallery

Satura Art Gallery

Categoria: Mostre

Data: dal 20 febbraio 2016 al 05 marzo 2016

Indirizzo: Piazza Stella 5/1

Provincia: Genova

Orario di apertura: da martedì a sabato ore 15-19

Sito internet: www.satura.it

Referente: Mario Napoli

Per informazioni: 010 2468284

E-mail: info@satura.it


 S’inaugura sabato 20 febbraio 2016 alle ore 17:00 nelle suggestive sale di Palazzo Stella a Genova, la mostra “At first sign 2” di Fausto Roma a cura di Alfio Borghese. La mostra resterà aperta fino al 5 marzo 2016 con orario 15:00 – 19:00 dal martedì al sabato.

 

Fausto Roma è innegabilmente un personaggio eccentrico nel paesaggio attuale delle arti in Italia. Sembra possedere un buon umore visivo che innegabilmente va controtendenza. Ama il colore, e il segno che lo articola come se fosse una scrittura indecifrata. Sembra un narratore, di quelli curiosi apparsi da una sorta di magia arcana. Uno scrittore descrittore della propria pittura. Un nonno però ce l’ha anche lui. Tutti abbiamo un nonno, ma gli artisti hanno diritto di sceglierselo, o talvolta d’averlo senza averlo scelto e forse addirittura senza saperlo.  Fausto Roma ne ha uno ben particolare e anche, a dir vero, assai glorioso. Si tratta di un artista sibillino e significativo, anche se la distrazione odierna sembra averlo posto in un’area d’oblio, il grande Isidore Isou, che fu una sorta di guru recondito delle avanguardie postbelliche: la sua prima pubblicazione era un inatteso presupposto a lunghi sviluppi successivi, e fu pubblicata nel 1947 col titolo ambizioso Introduction à une nouvelle poésie et à une nouvelle musique. Le sue Hypergraphies Polylogue sembrano gli embrioni dai quali, dopo poche generazioni di mutazioni, sono nate le opere di Fausto Roma. Il gioco si fonda sul fatto che la pittura è una combinazione fra materia e segno. Mentre la materia ha avuto diritto a ogni tipo di sovvertimento, da quella colorata a quella primordiale addirittura, dall’elaborato al rifiuto, il gesto ha vissuto percorsi ben più timidi talvolta, se non spesso inesistenti. Isou ebbe un discepolo italiano, anche questo lasciato in cono d’ombra, Luciano Lattanzi, grande amico di quell’inatteso scopritore di energie sottili che era Vanni Scheiwiller, l’editore. Lattanzi lasciava correre all’infinito la matita o la penna biro in ghirigori che assumevano una poetica puramente mentale. Il segno fu nell’immediato dopoguerra un percorso necessario per superare gli obblighi della materia, oppure talvolta per scoprirne i significati sotterranei. La materia, quella più espressionista possibile, era diventata il cimento delle nuove sperimentazioni americane; nel vecchio continente ci si adeguava spesso, si reagiva talvolta. E attorno a Parigi il gioco si faceva particolare e intrigante, dalle immagini al segno slanciato come frustate di Hans Hartung, al passaggio apparentemente silente del più scenico di tutti, Mark Tobey, quello che aveva tradito la sua America d’origine per venire a scoprire proprio in Europa le fonti del linguaggio visivo. Perché la questione del segno e della lingua rimaneva nella sostanza una tematica da vecchio contiene, esattamente quanto lo era la semiotica che allora diventava disciplina stabile. Stava sorgendo in quella direzione un’energia complessa, e multipla ovunque. Molti artisti che fino ad allora s’erano dati alla figura evolvevano verso altre dimensioni della percezione visiva, e Capogrossi a Roma inventava le sue le sue grafie primordiali che si componevano in tessuti semantici inattesi come quelli che Carla Accardi avrebbe trasformato poi in una lingua vera e propria. Il segno diventava la nuova frontiera dello spirito immaginifico. Lo era già stato talmente che Alexander Calder a Parigi era proprio venuto a giocare con i suoi fili di ferro contorti, per farne figure che dovevano apparire come tratti di matita compiuti senza interruzione dai quali pendevano piccoli oggetti di vetro.

Fausto Roma ha tratto da questi antenati le indicazioni di strade ludiche da percorrere, stando fuori dal vuoto che le arti visive recenti hanno dichiarato di essere l’unico terreno di sperimentazione possibile. La sua pittura dialoga naturalmente con i suoi manufatti scultorei. Le sue geografie riassumono in modo rinnovato un passato recentissimo che sembrava relegato già in un sedimento di storia. E il risultato è particolarmente gioioso: torna vitale con convinta energia e si riprende sfacciato il “diritto alla vita” , all’esperimento. Porta con sé un umore rallegrante. Come la terra laziale densa nella quale vive. (Testo critico a cura di Philippe Daverio)

 



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